Com’è
possibile che uno stato di stress attivato porti a ingrassare? E come è
possibile che la dieta, ovvero il mettersi a dieta faccia (ormai
troppi studi lo dimostrano) ingrassare o, nel 95% dei casi, riprendere nel giro
di due anni molto più del peso perso o, cosa ancora peggiore, sia causa nel 18%
dei casi di insorgenza di disturbi alimentari (in persone prima sane) come
abbuffate compulsive, bulimia o anoressia?
Poniamo
l’attenzione sulle tre situazioni riportate di seguito:
- in un esperimento di laboratorio, topolini
rinchiusi in una gabbia e sottoposti a una leggera scossa elettrica, senza
possibilità di scappare, subito dopo reagivano cercando di mangiare, e,
possibilmente abbuffandosi.
- uno studio osservazionale su donne obese sottoposte
(evento nuovo per loro) ad un ora di attività fisica al giorno, senza contestuale
attuazione di alcun cambiamento delle abitudini alimentari, non
dimagrivano di un etto: la misurazione del movimento complessivo nelle 24
ore, evidenziava infatti che nelle ore restanti, le stesse riducevano
l’attività motoria di routine.
- ogni qualvolta ci sottoponiamo a “diete”
sbilanciate o drastiche o semplicemente intempestive, all’iniziale
dimagrimento segue un arrestamento della perdita del peso con successiva
ripresa dello stesso, nel momento in cui si abbandona il programma
alimentare.
Cosa
hanno in comune gli esempi sopra riportati? Il Sistema salva vita dell’organismo
umano (ossia il sistema della risposta allo Stress). Che comprende non solo la preservazione del
grasso corporeo, ma anche un adattamento ormonale finalizzato a non farci
dimagrire, per darci la possibilità,
prevista in natura, di avere l’energia giusta per reagire a un possibile
pericolo e per procreare!
In
tutti e tre gli esempi, ciò che si verifica è che il nostro (tanto complesso
quanto meravigliosamente efficace) sistema di adattamento-preservazione che fa
capo a quella centralina dello stress che è l’ipofisi, si attiva, per motivi
diversi, favorendo in ultima analisi:
-l’aumento della fame
-la riduzione del metabolismo basale
-la riduzione del senso di sazietà
..sconcertante
vero?
1.Il
sistema dello stress ipotalamo-ipofisi (I-I) del topolino, di fronte alla
percezione di pericolo e dell’impossibilità di reagire fuggendo o
combattendo, perché relegato in gabbia, risponde liberando un
neurotrasmettitore, il NPY (uno dei maggiori induttori della fame dell’organismo)
per fare in modo che, come unica possibilità di sopravvivenza, il mantenimento
del peso, ossia dell’energia a disposizione, ovvero del grasso corporeo, sia
preservato.
2.
nelle donne obese sottoposte per la prima volta a attività fisica che ne
induceva un consumo energetico e quindi un potenziale calo di energia a
disposizione, lo stesso sistema dello stress I-I ne precludeva un consumo
potenzialmente dannoso (per la sopravvivenza), e favoriva inconsciamente un
modo per rallentarlo.
3.
le diete, per effetto specifico del ridotto
apporto calorico prolungato, per lo sbilanciamento
in nutrienti o per il “semplice” condizionamento
comportamentale di tipo restrittivo, obbligatorio e privativo (e in ultima
analisi mortificante), portano anch’esse a un attivazione del nostro asse dello
stress I-I . Così come i normali eventi
della vita quotidiana che ci “fanno sentire in gabbia”: necessità di dimagrire
per compiacere ad altri; non sentirsi all’altezza e trovare un rifugio nel
proprio corpo; portare delle responsabilità troppo pesanti per noi; o mirare a degli obiettivi fissati da altri invece
che realmente da noi, etc.
I meccanismi
con cui questo accade sono molteplici e riguardano:
-una
riduzione dell’attività del sistema nervoso Simpatico (che regola frequenza e
pressione sanguigna, contrazione muscolare etc), e un incremento dell’attività
del SN Parasimpatico (che regola le funzione metaboliche di rallentamento
energetico, di riposo, di impregnazione dei tessuti in uno stato acidosico);
-una
produzione del NPY ;
-un
disassamento ORMONALE: a seconda dell’intensità dello stress percepito, della
durata dello stesso (e della dieta), o dello sbilanciamento nutrizionale
prolungato (per esempio diete iperproteiche prolungate), può verificarsi
incremento del CORTISOLO (con conseguente incremento dello stimolo alla fame,
consumo della massa magra e incremento del grasso viscerale addominale e, alla
lunga, della ritenzione idrica, per effetto simile mineral-corticoide), della GRELINA
(ormone della fame di dolce in particolare), riduzione degli ormoni TIROIDEI e
degli ORMONI SESSUALI maschili (e conseguente rallentamento del metabolismo
basale), aumento della RESISTINA (ormone facente parte alla famiglia delle
ADIPOCHINE, liberato dal tessuto grasso, responsabile di un vero e proprio arresto
nel dimagrimento per percezione di assenza di cibo e quindi carestia,
con secondaria necessità di preservare il tessuto grasso di riserva) (dal mio
libro “Perché stare a dieta fa ingrassare, cosa pensa il nostro cervello quando
ci mettiamo in dieta”, Macro Edizioni);
-una
alterazione del MICROBIOTA intestinale (DISBIOSI): la flora batterica che
popola il nostro intestino si comporta da vero e proprio laboratorio. Diete
sbilanciate, ma lo stesso effetto stressante (e di stimolazione del sn autonomo
con contrattura spasmodica della tonaca muscolare sottostante), comportano una
alterazione dello stesso con, tra i diversi effetti conosciuti, una riduzione del consumo energetico
normalmente utilizzato per digerire il
cibo introdotto, e maggior stoccaggio dello stesso (per maggior consumo
batterico di antiossidanti come i flavonoidi assunti con l’alimentazione, e
minor equilibrio dei radicali liberi prodotti durante il normale stress
ossidativo delle cellule), e una
relazione specifica con ormoni dello stress (CORTISOLO) e dell’umore
(SEROTONINA).
La riscoperta del cibo come piacere, di
gusti nuovi, di attenzione verso la preparazione del pasto e dell’amore profuso
nell’espressione di questo gesto (in un ritrovato e attualissimo concetto di educazione alimentare non privativa ma
arricchente e consapevole ma libera), permette di ritrovare un equilibrio
interiore a partire proprio (e paradossalmente) dal nostro rapporto col cibo. E
di trovare, nella deriva dei fattori di stress della vita quotidiana, per lo
più non dipendenti da un nostro operato (la stabilità sul lavoro, la sicurezza
di uno stato di salute di nostri cari, il destabilizzante rapporto per qualche
motivo non costruttivo con colleghi o partners, o l’occorrenza di un imprevisto), una boa di salvataggio,
un riferimento, solido e stabile che ci permette di resistere, di rinforzarci,
e di essere soddisfatti della nostra capacità di mantenere e perseguire un
obiettivo (l’unica, realmente dipendente da noi, e non dagli altri).
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