mercoledì 30 agosto 2017

Stress e dieta



Com’è possibile che uno stato di stress attivato porti a ingrassare? E come è possibile che la dieta, ovvero il mettersi a dieta faccia (ormai troppi studi lo dimostrano) ingrassare o, nel 95% dei casi, riprendere nel giro di due anni molto più del peso perso o, cosa ancora peggiore, sia causa nel 18% dei casi di insorgenza di disturbi alimentari (in persone prima sane) come abbuffate compulsive, bulimia o anoressia?

Poniamo l’attenzione sulle tre situazioni riportate di seguito:
  1. in un esperimento di laboratorio, topolini rinchiusi in una gabbia e sottoposti a una leggera scossa elettrica, senza possibilità di scappare, subito dopo reagivano cercando di mangiare, e, possibilmente abbuffandosi.
  2. uno studio osservazionale su donne obese sottoposte (evento nuovo per loro) ad un ora di attività fisica al giorno, senza contestuale attuazione di alcun cambiamento delle abitudini alimentari, non dimagrivano di un etto: la misurazione del movimento complessivo nelle 24 ore, evidenziava infatti che nelle ore restanti, le stesse riducevano l’attività motoria di routine.
  3. ogni qualvolta ci sottoponiamo a “diete” sbilanciate o drastiche o semplicemente intempestive, all’iniziale dimagrimento segue un arrestamento della perdita del peso con successiva ripresa dello stesso, nel momento in cui si abbandona il programma alimentare.

Cosa hanno in comune gli esempi sopra riportati? Il Sistema salva vita dell’organismo umano (ossia il sistema della risposta allo Stress). Che comprende non solo la preservazione del grasso corporeo, ma anche un adattamento ormonale finalizzato a non farci dimagrire, per darci la possibilità, prevista in natura, di avere l’energia giusta per reagire a un possibile pericolo e per procreare!

In tutti e tre gli esempi, ciò che si verifica è che il nostro (tanto complesso quanto meravigliosamente efficace) sistema di adattamento-preservazione che fa capo a quella centralina dello stress che è l’ipofisi, si attiva, per motivi diversi, favorendo in ultima analisi:
-l’aumento della fame
-la riduzione del metabolismo basale
-la riduzione del senso di sazietà

..sconcertante vero?

1.Il sistema dello stress ipotalamo-ipofisi (I-I) del topolino, di fronte alla percezione di pericolo e dell’impossibilità di reagire fuggendo o combattendo, perché relegato in gabbia, risponde liberando un neurotrasmettitore, il NPY (uno dei maggiori induttori della fame dell’organismo) per fare in modo che, come unica possibilità di sopravvivenza, il mantenimento del peso, ossia dell’energia a disposizione, ovvero del grasso corporeo, sia preservato.
2. nelle donne obese sottoposte per la prima volta a attività fisica che ne induceva un consumo energetico e quindi un potenziale calo di energia a disposizione, lo stesso sistema dello stress I-I ne precludeva un consumo potenzialmente dannoso (per la sopravvivenza), e favoriva inconsciamente un modo per rallentarlo.
3. le diete, per effetto specifico del ridotto apporto calorico prolungato, per lo sbilanciamento in nutrienti o per il “semplice” condizionamento comportamentale di tipo restrittivo, obbligatorio e privativo (e in ultima analisi mortificante), portano anch’esse a un attivazione del nostro asse dello stress I-I . Così come i normali eventi della vita quotidiana che ci “fanno sentire in gabbia”: necessità di dimagrire per compiacere ad altri; non sentirsi all’altezza e trovare un rifugio nel proprio corpo; portare delle responsabilità troppo pesanti per noi; o mirare a degli obiettivi fissati da altri invece che realmente da noi, etc.

I meccanismi con cui questo accade sono molteplici e riguardano:
-una riduzione dell’attività del sistema nervoso Simpatico (che regola frequenza e pressione sanguigna, contrazione muscolare etc), e un incremento dell’attività del SN Parasimpatico (che regola le funzione metaboliche di rallentamento energetico, di riposo, di impregnazione dei tessuti in uno stato acidosico);
-una produzione del NPY ;
-un disassamento ORMONALE: a seconda dell’intensità dello stress percepito, della durata dello stesso (e della dieta), o dello sbilanciamento nutrizionale prolungato (per esempio diete iperproteiche prolungate), può verificarsi incremento del CORTISOLO (con conseguente incremento dello stimolo alla fame, consumo della massa magra e incremento del grasso viscerale addominale e, alla lunga, della ritenzione idrica, per effetto simile mineral-corticoide), della GRELINA (ormone della fame di dolce in particolare), riduzione degli ormoni TIROIDEI e degli ORMONI SESSUALI maschili (e conseguente rallentamento del metabolismo basale), aumento della RESISTINA (ormone facente parte alla famiglia delle ADIPOCHINE, liberato dal tessuto grasso, responsabile di un vero e proprio arresto nel dimagrimento per percezione di assenza di cibo e quindi carestia, con secondaria necessità di preservare il tessuto grasso di riserva) (dal mio libro “Perché stare a dieta fa ingrassare, cosa pensa il nostro cervello quando ci mettiamo in dieta”, Macro Edizioni);

-una alterazione del MICROBIOTA intestinale (DISBIOSI): la flora batterica che popola il nostro intestino si comporta da vero e proprio laboratorio. Diete sbilanciate, ma lo stesso effetto stressante (e di stimolazione del sn autonomo con contrattura spasmodica della tonaca muscolare sottostante), comportano una alterazione dello stesso con, tra i diversi effetti conosciuti, una riduzione del consumo energetico normalmente utilizzato per digerire il cibo introdotto, e maggior stoccaggio dello stesso (per maggior consumo batterico di antiossidanti come i flavonoidi assunti con l’alimentazione, e minor equilibrio dei radicali liberi prodotti durante il normale stress ossidativo delle cellule), e una relazione specifica con ormoni dello stress (CORTISOLO)  e dell’umore (SEROTONINA).

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La riscoperta del cibo come piacere, di gusti nuovi, di attenzione verso la preparazione del pasto e dell’amore profuso nell’espressione di questo gesto (in un ritrovato e attualissimo concetto di educazione alimentare non privativa ma arricchente e consapevole ma libera), permette di ritrovare un equilibrio interiore a partire proprio (e paradossalmente) dal nostro rapporto col cibo. E di trovare, nella deriva dei fattori di stress della vita quotidiana, per lo più non dipendenti da un nostro operato (la stabilità sul lavoro, la sicurezza di uno stato di salute di nostri cari, il destabilizzante rapporto per qualche motivo non costruttivo con colleghi o partners, o  l’occorrenza di un imprevisto), una boa di salvataggio, un riferimento, solido e stabile che ci permette di resistere, di rinforzarci, e di essere soddisfatti della nostra capacità di mantenere e perseguire un obiettivo (l’unica, realmente dipendente da noi, e non dagli altri).


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